ELABORATO “IL CAVALIERE INESISTENTE” – Simona Greco, II D, Liceo Scientifico Galilei

Il Cavaliere inesistente è un’opera teatrale basata sull’omonimo romanzo di Italo Calvino, diretta e messa in scena da Luca Mazzone. La trama è apparentemente piuttosto semplice: Sir Agilulfo, paladino di Carlo Magno, parte per dar prova di legittimità delle sue imprese come cavaliere, messe in dubbio dal collega Torrismondo. La vergine che egli salvò molti anni prima, infatti, sembra ora non esser tale, poiché madre del giovane, avuto con uno dei Cavalieri del Sacro Graal. A prima vista può sembrare che Calvino narri un poema cavalleresco come tanti altri, dedicato ai più piccoli per via del suo particolare stile fiabesco. In realtà egli, con leggerezza e semplicità, affronta diverse e importanti tematiche esistenziali, prime tra tutte la ricerca dell’identità e del proprio posto nel mondo, spiegate in una maniera così intuitiva da poter essere comprese e interiorizzate persino dai bambini. Il protagonista del racconto è appunto il prode Agilulfo. Egli, però, non è come gli altri: è privo di qualsiasi corpo fisico, se si esclude la sua scintillante armatura bianca. Rimane in mezzo agli uomini unicamente grazie alla sua ferrea forza di volontà, sottraendosi perfino al riposo notturno, che gli potrebbe essere fatale. Appare così irreale e lontano da qualsiasi vizio e difetto umano, guadagnandosi il soprannome di “Cavaliere Inesistente”. Il suo unico obbiettivo è quello di servire nel migliore dei modi l’ordine dei cavalieri, facendosi carico anche di incombenze inutili e prive di interesse, come il prendere come proprio scudiero Gurdulù, per ordine diretto di Carlo Magno. Egli è l’esatto contrario di Agilulfo: ha un corpo terreno, ma gli mancano coscienza e volontà, tanto da confondersi molto spesso su chi sia e immedesimarsi in tutto ciò che lo circonda, che sia anatra, rana, re, cucchiaio o zuppa. Questi due personaggi, antitetici, volutamente inverosimili, sono però faccia della stessa metafora, e in tal senso vanno interpretati. Agilulfo è infatti il volto della società robotizzata, in un epoca in cui l’individuo compie sempre gli stessi gesti, meccanicamente, senza saper nemmeno la motivazione che lo spinge ad abbandonare il letto la mattina; Gurdulù è invece la totale assenza di coscienza, la ribellione distruttiva contro uno schema che non sente come proprio e a cui non appartiene, come deve apparire la zuppa all’umanità. In mezzo a questi due poli ci sono gli indecisi, chi non riesce a schierarsi, le tonalità di grigio, come Rambaldo. Unitosi ai cavalieri per vendicare la morte del proprio padre, ora che quell’obbiettivo è stato completato non riesce a trovarne un altro, e a comprendere il motivo che lo ha spinto a unirsi a quell’effimero ordine, dove a saper la strada da percorrere è un cavaliere che non esiste. Trova consolazione nell’amore verso Bradamante, la quale inizialmente non ricambia, innamorata com’è di Agilulfo. Ma dopo che ella ha metabolizzato la sua morte, nelle mura di un convento, narrando la complicata storia che la coinvolge, abbraccia e accoglie la passione per Rambaldo, giovane, dolce ma soprattutto reale. Altra tematica importate è lo scambio di persona, rappresentato da Torrismondo e Sofronia: prima apparentemente padre e madre, poi fratellastri, infine amanti e giovani sposi, simboleggiano l’indifferenza dell’amore di fronte a nomi e apparenti parentele. E mentre tutti gli altri personaggi vivono il loro lieto fine, felici e contenti, Agilulfo si suicida: l’unica aspirazione che lo teneva in vita è venuta meno, così decide di dissolversi nell’aria, lasciando l’armatura a Rambaldo, sicuro di affidarla in buone e coraggiose mani. Perfino Gurdulù trova una degna conclusione: infatti, ora che la sua controparte è venuta meno, improvvisamente possiede una volontà e un raziocinio, tornando ad essere un uomo completo. Calvino, nella sua opera, si diverte a dissacrare le apparenze e i valori cavallereschi, e così anche lo spettacolo, perché nel rappresentare i suoi personaggi non utilizza reali abiti storici, ma indumenti prettamente simbolici, utili solo a dare una indicazione delle scene. Intelligente è anche l’utilizzo delle proiezioni come sfondo, e la rottura della quarta parete, che trasforma il pubblico da spettatore inerte ad attivo partecipante alle peripezie dei Cavalieri. Lo spettacolo risulta quindi nel suo insieme efficace nel trasformare in teatro ciò che Calvino immagina sotto forma di narrazione, offrendo tanti piccoli spunti di riflessione sulle emozioni e sulle tematiche umane.